23 luglio 2010

Le guerre contro il popolo palestinese.

Un interessante articolo scritto il 14 luglio da Abdul Sattar Kassem per il sito web di al-Jazeera, proposto nella traduzione offerta da Medarabnews.

Solitamente si ritiene che il popolo palestinese debba far fronte a un’unica guerra, legata all’occupazione della Cisgiordania ed all’assedio della Striscia di Gaza – se non legata solamente a quest’ultimo, considerato che la Cisgiordania è oggetto di negoziati e che al suo interno esiste una forma di autogoverno palestinese sotto la bandiera israeliana.

L’informazione gioca un ruolo essenziale nel produrre questa convinzione, poiché si concentra sulla Cisgiordania e sulla Striscia di Gaza ed ignora le altre componenti del popolo palestinese in tutti gli altri luoghi in cui esse si trovano. I palestinesi stessi – o almeno alcuni di loro – giocano un ruolo importante a questo riguardo, poiché hanno accettato di circoscrivere il dibattito internazionale e mediatico relativo alla questione palestinese al problema dell’occupazione del 1967, ed hanno cominciato a ripetere l’espressione “territori palestinesi” per riferirsi alla Cisgiordania ed alla Striscia di Gaza, o a parte di esse, dimenticando in questo modo il resto della Palestina mandataria e le altre componenti del popolo palestinese, ad eccezione delle chiacchiere politiche che a volte sorgono riguardo al diritto al ritorno.

Tuttavia il popolo palestinese non è vittima di un’unica guerra, ma di numerose guerre in tutti i luoghi in cui ha una presenza consistente. Tali guerre sono finalizzate ad un suo indebolimento complessivo. Coloro che si accaniscono contro il popolo palestinese vogliono fiaccarlo nel suo insieme, e non solo parzialmente, affinché non rimanga più nessuno a difendere la questione palestinese e ad ostinarsi a vedere riconosciuti i diritti palestinesi. Essi puntano a dissolvere la questione palestinese (e non a risolverla) dissolvendo il popolo palestinese in un insieme di individui isolati che cercano semplicemente di perseguire i propri interessi e di garantirsi qualcosa per vivere. Ciò è possibile solo se la guerra viene combattuta su più fronti e a diversi livelli, a seconda dei luoghi dove si concentra la presenza palestinese. Costoro non prevedono di fiaccare una parte del popolo palestinese per poi passare alla parte successiva, ma puntano a indebolirlo nel suo insieme in un colpo solo, affinché nessuna delle sue componenti possa rappresentare un fattore in grado di alimentare il resto. Elenchiamo di seguito le forme principali di questa guerra molteplice.

La guerra degli stipendi e delle cariche

Questa guerra viene combattuta in Cisgiordania per far concentrare la gente sul proprio impiego, il cui stipendio dipende dai paesi donatori ed il cui pagamento dipende in fin dei conti da Israele e dagli Stati Uniti. Si tratta di una guerra di adescamento per trasformare la Palestina in un luogo di apparente benessere e prosperità, trasformando i difensori della questione palestinese in guardie del regno di Israele. Questa guerra si distingue per le seguenti caratteristiche:

1) Aumentare il numero di funzionari dell’Autorità Palestinese, perché ciò significa che un numero maggiore di famiglie palestinesi finisce per dipendere economicamente dai salari erogati dall’ANP, frenando in questo modo il desiderio palestinese di resistere all’occupazione. L’impiegato palestinese e coloro che dipendono da lui sono costretti a pensarci due volte prima di esprimere o adottare una posizione che non piace a Israele ed a coloro che le sono fedeli, poiché ciò comporta il rischio di essere licenziati. I paesi donatori sono chiari a questo proposito, così come lo sono Israele e gli Stati Uniti. Essi non sono disposti a pagare i salari a coloro che potrebbero non condividere gli accordi firmati dall’ANP con Israele.

2) Colpire la produzione palestinese affinché i palestinesi non si rafforzino facendo affidamento economicamente su se stessi, neanche in misura parziale. A partire dagli accordi di Oslo, molti settori della produzione palestinese sono stati sabotati, a cominciare dall’agricoltura. L’agricoltura palestinese, che è strettamente legata a molti valori nazionali palestinesi, è stata colpita duramente in modo da costringere migliaia di palestinesi a cercare altri modi per far fronte al crescente costo della vita, in primo luogo entrando a far parte dei servizi di sicurezza palestinesi, che operano in stretto coordinamento con Israele. Sono state boicottate le sartorie a Tulkarem, le fabbriche e i laboratori artigiani di Nablus e Hebron, ed in particolare le fabbriche di scarpe, che producevano i migliori prodotti del mondo. Quest’anno ho cercato le coltivazioni di angurie a Marj Ibn Amir, ma non ne ho trovate perché le angurie israeliane riempiono i mercati. Ho cercato le sartorie, ma ne ho trovate pochissime perché le importazioni hanno preso il posto della produzione locale. Questa tragedia ha anche danneggiato artigiani come i fabbri e i falegnami.

3) Corrompere i funzionari di alto livello dell’Autorità Palestinese offrendo loro benessere e comodità, come automobili di lusso, facilitazioni di viaggio e di spostamento, garantendo loro le spese quotidiane come la benzina, le carte prepagate per i cellulari, le carte da VIP. Molti uomini dell’ANP, ed in particolare quelli dei servizi di sicurezza, sono sommersi da una serie di facilitazioni e comodità affinché sorveglino il resto del popolo palestinese nell’ambito degli accordi presi. Per alcuni la Palestina è diventata un paradiso personale.

4) Far perdere alla gente la speranza in un futuro di indipendenza, attraverso il dispiegamento dei servizi di sicurezza palestinesi e l’applicazione dei loro controlli continui, e punendo chi esprime il proprio dissenso nei confronti di Israele o dell’ANP. La faccenda giunge al punto di far perdere il lavoro a chi è sospettato di opporsi all’ANP o di appartenere a fazioni dell’opposizione.

Attaccare la coscienza nazionale palestinese distraendo la popolazione con questioni secondarie come feste e intrattenimenti, feste dello shopping, manifestazioni da guinness dei primati, e peggiorando il livello dell’istruzione nelle scuole e nelle università. E’ in atto un processo di disintegrazione della coscienza nazionale palestinese attraverso il tentativo di trasformare la gente in semplici consumatori preoccupati unicamente del soddisfacimento dei propri istinti.

La guerra di israelizzazione

Questa guerra è stata scatenata da Israele contro i palestinesi all’interno delle terre occupate nel 1948, con l’obiettivo di trasformarli in israeliani al servizio dei sionisti che abusano di loro, confiscano le loro terre, e li privano dei loro diritti umani e nazionali. L’espressione “arabo israeliano” è una delle principali espressioni attualmente utilizzate a livello popolare e nei mezzi di informazione che incarna la questione della israelizzazione. Tale espressione nega l’autenticità del popolo palestinese e svende la sua esistenza a vantaggio di quella di Israele. Bisogna anche osservare che gli arabi non riescono ad ottenere seggi nella Knesset in misura proporzionata ai loro voti reali perché molti di essi votano per i partiti sionisti.

Malgrado il successo parziale di Israele nel processo di israelizzazione, la fermezza resta l’atteggiamento predominante presso molti palestinesi in Israele, che sembrano in grado di preservare l’identità araba ed islamica palestinese. Non possiamo che lodare le battaglie mediatiche, politiche e religiose nelle quali essi si impegnano in difesa della loro identità, dei loro diritti e dei luoghi santi.

La guerra di assedio

La Striscia di Gaza ha subito la stessa guerra che ha colpito la Cisgiordania fino al giugno 2007 (data in cui vi è stata la secessione di fatto tra la Cisgiordania controllata dall’ANP e la Striscia di Gaza controllata da Hamas (N.d.T.) ). Contro la Striscia è stato imposto il più duro ed esteso assedio ai danni di un popolo che la storia abbia conosciuto. Si sono riunite le nazioni dall’Oriente e dall’Occidente, dall’Europa al mondo arabo, per assediare Gaza economicamente, finanziariamente, e militarmente, da terra, dal mare e dal cielo, al fine di riportarla sotto il controllo dell’ANP; e questo assedio è ancora in atto, con un’ampia partecipazione a livello mondiale. L’assedio ebbe inizio con alcune interruzioni nell’approvvigionamento di generi alimentari e nella fornitura di energia elettrica, insieme ad alcuni attacchi aerei israeliani, senza tuttavia riuscire a piegare la volontà della gente. Poi si trasformò in un assedio pienamente applicato, ma il risultato fu che la gente protestò al confine palestinese-egiziano. Poi Israele scatenò una guerra contro Gaza che si protrasse per 23 giorni. Malgrado i massacri e la distruzione, tale guerra si rivelò anch’essa un fallimento.

La fermezza di Gaza ha portato a due conseguenze: l’aguzzarsi dell’inventiva della gente della Striscia per organizzare la propria vita quotidiana , e l’aumento della solidarietà popolare ed ufficiale a livello internazionale nei confronti degli abitanti di Gaza. Gaza è riuscita a contrabbandare generi alimentari, denaro ed armi. Le campagne di solidarietà hanno portato alla mobilitazione dei mezzi di informazione internazionali per spiegare la situazione nella Striscia. Gaza ha certamente sofferto moltissimo a causa dell’assedio, ma è riuscita in buona misura ad assediare l’assediante. La gente di Gaza ha mantenuto un atteggiamento di fermezza, rifiutando tutti gli adescamenti ed i tentativi di dissolvere la questione palestinese.

La guerra di persecuzione e di umiliazione

Questa guerra è stata scatenata dai regimi arabi contro il popolo palestinese, essendo i palestinesi considerati dei colpevoli che devono dimostrare la propria innocenza. Essi sono accusati di cercare dei mezzi che li aiutino a liberare la propria patria ed a ristabilire i propri diritti; ma siccome ciò significa organizzare azioni di resistenza contro Israele, i regimi arabi si considerano responsabili agli occhi di Israele e dell’America. I servizi di sicurezza arabi si impegnano molto a perseguitare i palestinesi, a pedinarli, a gettarli in prigione, ed a umiliarli, affinché accettino le “soluzioni” che vengono loro prospettate. I palestinesi non possono adoperare tranquillamente gli aeroporti arabi perché vengono continuamente ostacolati e fermati dai servizi segreti, che rivolgono loro accuse sebbene siano consapevoli che essi non costituiscono una minaccia per la sicurezza dei paesi arabi. Dopo gli accordi di Oslo, i palestinesi stessi si sono aggiunti alla lista dei regimi arabi che perseguitano i palestinesi.

La maggior parte dei regimi arabi sono alleati con gli Stati Uniti, e sono alleati direttamente o indirettamente con Israele; essi temono il pesante bastone di Israele qualora dovessero lasciare che i palestinesi cerchino il modo di liberare la loro terra. Dal canto suo, Israele ha un ruolo importante nel preservare alcuni regimi, rivelando tentativi di golpe e di ribellione, o utilizzando le forze di sicurezza israeliane per contrastare i movimenti di ribellione arabi.

La guerra dell’emigrazione

Le restrizioni di cui soffrono i palestinesi in Palestina e nei paesi arabi li spingono a pensare di lasciare il mondo arabo, mentre il nemico israeliano pensa a come facilitare questa emigrazione. Vi sono paesi come la Norvegia, la Svezia, il Canada, l’Australia e gli Stati Uniti che aprono le loro porte all’immigrazione dei palestinesi e facilitano loro le pratiche procedurali. Una volta erano richieste buone competenze professionali per accettare la domanda di immigrazione, ma ora viene accolta anche la manodopera non qualificata, naturalmente dopo un “esame di sicurezza” per assicurarsi che la persona in questione intende abbandonare la questione palestinese, e non solo la patria palestinese.

Guerre fallite

Queste guerre per la maggior parte non sono nuove; sono vecchie quanto la questione palestinese. Tuttavia, gran parte di esse non sono riuscite a realizzare il loro obiettivo, ovvero quello di disperdere il popolo palestinese e di dissolvere i suoi diritti. Da anni gli Stati Uniti si sono impegnati a reinsediare i palestinesi, aiutati in ciò dalle Nazioni Unite, nella convinzione che i palestinesi avrebbero dimenticato la loro patria dopo trent’anni dalla loro emigrazione. I regimi arabi, dal canto loro, non hanno mai tollerato i palestinesi,e hanno fatto di tutto per mettere loro la museruola. In alcuni casi vi sono riusciti, in altri no.

I popoli arabi non sono più del tutto inconsapevoli come in passato. Essi hanno acquisito sufficiente consapevolezza per dare il loro sostegno ai palestinesi o per giustificare le loro azioni di resistenza contro Israele. Le forze islamiche e nazionaliste hanno ora una presenza che aiuta i palestinesi a superare alcune delle loro crisi. Ad esempio, in Libano sono emerse delle forze cristiane e musulmane che credono nell’identità araba del Libano e della questione palestinese. Le forze islamiche e nazionaliste in Giordania stanno acquisendo forza e sono in grado di sfidare alcune politiche governative.

Sembra che il problema maggiore che devono fronteggiare i palestinesi in tutte queste guerre si trovi in Cisgiordania, in cui si assiste ad un considerevole successo del processo di addomesticamento dei palestinesi. La Cisgiordania attraversa una miserevole situazione dal punto di vista nazionale, al punto che persone che erano state accusate di collaborare con Israele occupano attualmente posti di primo piano, coordinandosi con Israele in vari settori. Non credo che questa situazione si protrarrà in eterno, ma certamente la sua fine non è vicina.

La guerra di reazione

I palestinesi, in tutti i luoghi in cui risiedono, possiedono oggi una profonda consapevolezza della loro questione e della situazione in cui si trovano. Essi sono al corrente dell’andamento della situazione internazionale, delle posizioni dei paesi arabi, e dei piani sionisti. Essi si stanno armando di una crescente consapevolezza, di una volontà sempre più salda e pronta a lanciare campagne mediatiche, culturali e sociali in risposta agli attacchi che subiscono, al fine di mantenere il popolo unito all’interno dell’ambiente arabo ed islamico.

E’ vero che vi sono palestinesi che ancora ripongono le loro speranze in alcuni leader e in alcune politiche rivelatesi fallimentari, tuttavia l’unità del popolo palestinese a livello regionale e mondiale è attualmente buona ed in via di rafforzamento, e può contare su mezzi di informazione arabi come al-Jazeera, al-Manar, ed al-Rai. Se la spaccatura appare evidente fra la Cisgiordania e Gaza è perché il popolo palestinese non può unirsi sulla base del riconoscimento di Israele e del coordinamento di sicurezza con Tel Aviv. Ma alla fine le cose non potranno che aggiustarsi, e la Cisgiordania tornerà ad essere una parte attiva nella resistenza e nel cammino verso la liberazione.

Abdul Sattar Kassem è un politologo palestinese; insegna Scienze Politiche all’Università an-Najah di Nablus

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5 Commenti:

Alle 23 luglio 2010 alle ore 20:27 , Anonymous Anonimo ha detto...

che palle .... l'unico problema al mondo sono " i poveri palestinesi " ci sono altre centinaia di situazioni molto più gravi ( in africa, in asia, ecc...) e tragiche ma tutti sono concentrati sui "poveri palestinesi " gli unici sofferenti a questo mondo....che la smetessero di fare i profughi di professione e incominciassero a lavorare

 
Alle 26 luglio 2010 alle ore 08:59 , Blogger Unknown ha detto...

Se tutti fossero veramente concentrati sui poveri palestinesi come dici tu, il conflitto israelo-palestinese sarebbe già risolto da un pezzo. Tirare in ballo altre situazioni più o meno gravi è un triste tentativo di svilire la sofferenza di chi rientra in queste situazioni, ma che per molti è una sofferenza “scomoda”. Il riferimento ai profughi è decisamente di cattivo gusto, dal momento che esistono “grazie” ad Israele, e l’allusione alla loro poca voglia di lavorare fa parte della montagna di leggende create apposta da Israele con l’avallo dell’Occidente.

 
Alle 26 luglio 2010 alle ore 12:53 , Anonymous gianni saturdiello ha detto...

grande commento, finalmente qualcuno che dici le cose come stanno , grande anonimo

 
Alle 28 luglio 2010 alle ore 00:28 , Blogger vichi ha detto...

Magari si potrebbe anche aggiungere che i Palestinesi sono stati costretti a diventare "profughi di professione" dalla pulizia etnica da cui è nato lo stato-canaglia israeliano...

 
Alle 27 ottobre 2010 alle ore 20:44 , Anonymous Anonimo ha detto...

signora Carla ci potrebbe documentare come hanno speso i miliardi di bilioni di dollari che i poveri palestinesi hanno ricevuto sia dal mondo araba che dalla comunità occidentale?? ad oggi con quei soldi ogni famiglia palestinese potrebbe vivere in una villa con vasca idromassaggio.Ma invece quella montagna di dollari è stata usata per fare altre cose. Quali ???

 

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