9 luglio 2010

Affrontare Israele a viso aperto in nome di Gaza.

La recente decisione del governo israeliano di allentare l’assedio alla Striscia di Gaza è valsa a far uscire Israele dalla difficile posizione in cui si era andata a cacciare dopo l’assalto alle navi della Freedom Flotilla e i nove pacifisti uccisi sulla Mavi Marmara.

Gli Usa, la Ue, il Quartetto (in persona del suo rappresentante Tony Blair) – che non aspettavano altro – hanno fatto a gara per congratularsi per questo importante passo “nella giusta direzione”, e Obama ha ricevuto il premier israeliano Netanyahu con grandi sorrisi e strette di mano.

I tre anni di punizione collettiva inflitti a un milione e mezzo di Palestinesi – un crimine di guerra che doveva essere internazionalmente sanzionato – i nove morti e i numerosi feriti della flottiglia umanitaria sembrano ormai caduti nel dimenticatoio.

Eppure, nella realtà, ben poco è cambiato, un modesto incremento di carichi che riescono a entrare nella Striscia e, udite udite, il fatto che ora i Palestinesi di Gaza possono finalmente ricevere il ketchup, la cioccolata, i giocattoli per bambini, pare ormai non più pericolosi per la sicurezza di Israele.

L’importazione di prodotti tessili, di margarina in formato industriale e di numerose altre materie prime che servirebbero a far ripartire l’industria e le manifatture è ancora vietata, nessun cenno è fatto riguardo alle esportazioni dalla Striscia, l’accesso delle persone da e per Gaza continua ad essere pressoché impossibile.

L’unica soluzione per restituire una parvenza di normalità alla vita nella Striscia di Gaza, come affermato dalla Croce Rossa Internazionale con un forte e inusuale appello e, in tempi più recenti, da Filippo Grandi dell’UNRWA, sarebbe quella dell’eliminazione totale del blocco, ma Israele da questo orecchio proprio non intende sentire.

Che fare allora?

L’alternativa è continuare a chiedere (vanamente, come l’esperienza di anni e anni ormai dimostra) l’intervento della comunità internazionale perché eserciti “pressioni” su Israele affinché si conformi al diritto internazionale e rispetti i diritti umani dei Palestinesi, ovvero organizzare nuove flottiglie di navi e sfidare a viso aperto Israele e il suo blocco criminale.

Come sostiene Rami G. Khouri nell’articolo che segue – pubblicato il 23 giugno sul libanese Daily Star e qui proposto nella traduzione di Medarabnews – “in tutte le lotte per la liberazione contro il colonialismo, l’oppressione o il razzismo, arriva un momento in cui la barriera della paura è infranta sotto lo sguardo di tutti … le navi che verranno lo chiariranno a tempo debito, perché esse non mettono in discussione l’esistenza o la sicurezza di Israele, ma soltanto la sua crudeltà nei confronti dei palestinesi”.

LA GRANDE SVOLTA DI GAZA
di Rami G. Khouri – 23.6.2010

La decisione israeliana di allentare l’assedio che da 3 anni soffoca Gaza sta ricevendo una tiepida accoglienza in molti ambienti, e incontrando profondo scetticismo in altri. Il presidente palestinese, Mahmoud Abbas, ha fatto appello al mondo tramite il Quartetto affinché faccia pressione su Israele perché rimuova il blocco completamente, e nel frattempo gruppi libanesi e iraniani pianificano di inviare ulteriori navi di aiuti umanitari a Gaza per sfidare e infrangere il blocco israeliano.

Questi due approcci riflettono posizioni divergenti sulla questione più generale di come si reagisce al potere israeliano, e di cosa si può fare per cambiare la situazione quando il potere è esercitato in maniera ingiusta, brutale o illegale. Si negozia con Israele e si chiede alle potenze occidentali di esercitare pressioni su Tel Aviv affinché rispetti le leggi internazionali e la smetta di comportarsi in maniera criminale? O si fronteggia e si sfida Israele, col rischio di essere arrestati, feriti o uccisi?

Negli ultimi anni, l’esperienza del movimento Free Gaza, che ha inviato una mezza dozzina di spedizioni navali per consegnare aiuti umanitari agli abitanti di Gaza, suggerisce a molti che il confronto a viso aperto è la maniera più efficace per sfidare Israele e obbligarlo a cambiare le sue politiche. L’allentamento del blocco di Gaza è il quarto esempio di un cambiamento di politica da parte di Israele dopo aver subito pressioni. Gli altri tre casi sono stati il ritiro dal sud del Libano e da Gaza a fronte della resistenza guidata da Hezbollah e Hamas, e la parziale sospensione della costruzione di alcuni insediamenti lo scorso anno, per un periodo di 10 mesi, in risposta alle pressioni del governo americano.

Così adesso la domanda è: come reagiranno i popoli e gli stati del mondo arabo e dei territori limitrofi, come l’Iran e la Turchia, all’ultima lezione in cui Israele è stato sfidato con un’azione vigorosa, oltre che con deboli appelli?

Israele sta già avviando due nuove azioni aggressive che presto metteranno alla prova la tempra dei suoi amici e dei suoi nemici. Lo stato ebraico distruggerà diverse dozzine di abitazioni arabe palestinesi nell’occupata Gerusalemme Est per allestire una struttura turistica israeliana, e avvierà la costruzione di altre 600 case per i coloni sionisti nella zona di Gerusalemme.
L’interrogativo interessante oggi non è se Israele sta attuando seri cambiamenti nelle sue politiche o meno: non lo sta facendo. I suoi sono solo cambiamenti di facciata, per tenere a bada le pressioni esterne. I nuovi sviluppi veramente importanti sono la crescente presa di coscienza da parte araba e internazionale che gli eccessi criminali e disumani del sionismo – il colonialismo, le discriminazioni, le punizioni collettive, il razzismo, l’assedio e le privazioni, la strage in acque internazionali, le incarcerazioni di massa e altro – possono essere meglio affrontati se si utilizzano le stesse strategie che alla fine hanno sconfitto i due esempi principali di razzismo e ingiustizia dei tempi moderni: il movimento dei diritti civili che ha stroncato il razzismo ufficiale negli Stati Uniti, e il movimento contro l’Apartheid che ha obbligato il governo della minoranza bianca in Sudafrica ad accettare un sistema pienamente democratico.

Ho la sensazione che le navi del movimento Free Gaza che cercano di rompere l’assedio passeranno alla storia moderna come elementi cruciali nella lotta per la giustizia in Palestina, che aspira a creare condizioni che permettano agli ebrei, ai cristiani e ai musulmani, e a tutti gli altri residenti o visitatori, di vivere in questa terra con eguali diritti. Israele è assolutamente deciso a continuare ad attaccare i convogli di aiuti e ad uccidere attivisti umanitari innocenti. Ma cosa succederà quando la prossima nave salperà con un gruppo di sacerdoti cristiani, che reciteranno versi che inneggiano all’amore di Dio per la giustizia e il perdono, ed al comandamento divino di assistere i bisognosi, tratti dal Libro di Isaia e dal Libro di Giovanni?

Cosa farà Israele quando un convoglio di navi farà rotta per Gaza trasportando solo maestri di scuola e sacchi di caramelle per i bambini di Gaza? E quando un convoglio di navi si avvicinerà alla costa trasportando solo infermiere e pannolini per i bambini di Gaza?

C’è stata una svolta importante a Gaza, poiché si è capovolto il rapporto tra colonizzatore e colonizzato. Quando il colonizzato non ha più paura che gli venga fatto del male, o di essere ucciso, il potere di intimidazione proprio del colonizzatore svanisce. I libanesi e gli iraniani lo capiscono perché a loro modo molti di loro hanno già vissuto episodi di liberazione che riflettono la loro volontà di farsi valere per vivere in libertà e dignità. I palestinesi hanno provato a farlo per decenni con scarso successo.

In tutte le lotte per la liberazione contro il colonialismo, l’oppressione o il razzismo, arriva un momento in cui la barriera della paura è infranta sotto lo sguardo di tutti. In definitiva, ciò impone una rinegoziazione della distribuzione del potere in modo tale che si ristabiliscano i diritti umani, la sicurezza collettiva e la dignità di tutti gli interessati. Ebrei, cristiani e musulmani potranno certamente ricordare il momento in cui è stato sfidato e quello in cui crollerà l’assedio israeliano di Gaza come momenti fondamentali nella lotta tra sionismo e arabismo in Palestina.

Le navi che verranno lo chiariranno a tempo debito, perché esse non mettono in discussione l’esistenza o la sicurezza di Israele, ma soltanto la sua crudeltà nei confronti dei palestinesi.

Rami G. Khouri è un analista politico di origine giordano-palestinese e di nazionalità americana; è direttore dell’Issam Fares Institute of Public Policy and International Affairs presso l’American University di Beirut, ed è direttore del quotidiano libanese “Daily Star”

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3 Commenti:

Alle 27 ottobre 2010 alle ore 20:52 , Blogger bario ha detto...

Israele è assolutamente deciso a continuare ad attaccare i convogli di aiuti e ad uccidere attivisti umanitari innocenti.

Ma come si fa a scrivere delle stupidaggini del genere " uccidere attivisti umanitari innocenti", quando tutti hanno potuto vedere come hanno reagito questi pacifinti umanitari.Innocenti poi ....... ma per piacere.
E questo sarebbe un analista politico ???

 
Alle 28 ottobre 2010 alle ore 14:42 , Blogger vichi ha detto...

Ti ricordo che l'unica commissione ufficiale che abbia concluso i propri lavori - quella del consiglio onu per i diritti umani - ha affermato che il massacro di 9 attivisti turchi sulla Mavi Marmara, di cui uno appena 19enne e gli altri padri di famiglia, è stato un atto criminale.

Magari informarsi prima non fa male...

 
Alle 31 ottobre 2010 alle ore 07:46 , Blogger bario ha detto...

"quella del consiglio onu" appunto, quando l'onu è oramai oltre che un carrozzone, una lunga manis della lega araba, poi anche i padri di famiglia possono essere dei islamici terroristi, o il fatto di essere dei padri di famiglia automaticamente li rende delle anime belle??? E' stata solo una provocazione cercare di forzare il blocco navale.Se la sono cercata la grana ... se stavano a casa con le loro famiglie ...... comunque caro vichi abbiamo visto i filmati preparatori prima della partenza della nave, che inneggiavano alla jihad, hanno cercato il martirio i tuoi padri di famiglia altro che pacifisti.

 

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