7 giugno 2007

Viva gli assassini!

Un fine umorista di origine egiziana ha di recente pubblicato un libro in cui, partendo dalla propria esperienza autobiografica, arriva a maturare il convincimento che “la difesa della sacralità della vita coincide con la difesa del diritto all’esistenza da parte di Israele”.
Peccato che di questa equivalenza non fossero informati i soldati israeliani, e in particolare quelli posizionati nei pressi dell’ex insediamento colonico di Dugit, che per difendere in concreto il diritto di Israele ad esistere e a proteggersi non hanno esitato a uccidere due ragazzini incolpevoli ed innocenti.
O forse, per meglio dire, peccato che il valore e la “sacralità” della vita non vengano in considerazione quando le vite in questione sono quelle di qualche arabo cencioso.
Secondo la ricostruzione dell’Ong palestinese Pchr, venerdì 1 giugno, intorno a mezzogiorno, quattro ragazzini palestinesi stavano tranquillamente giocando con i loro aquiloni vicino alla spiaggia; ad un certo punto, uno degli aquiloni è caduto vicino alla zona in cui era posizionata una unità di fanteria di Tsahal, i cui soldati non hanno esitato ad aprire il fuoco contro un così ghiotto bersaglio.
In questa maniera assurda hanno trovato la morte Ahmad Abu Zubeida e Zaher al-Majdalawi, entrambi 14enni ed entrambi provenienti dal vicino campo profughi di Jabalya, mentre il terzo componente del gruppo, il 16enne Mohammed al-Atawna, è rimasto lievemente ferito alla schiena ed il quarto è riuscito a scappare.
La versione israeliana, naturalmente, diverge leggermente e racconta che “figure sospette” stavano cercando di piazzare un ordigno esplosivo nei pressi della barriera di “sicurezza” e che i soldati, prima di sparare, hanno intimato regolarmente l’alt.
Va’ da sé che si tratta di una versione poco credibile, tanto è vero che il giovane al-Atawna, trasportato in Israele per le prime cure, è stato successivamente trasferito in un ospedale di Beit Lahia senza alcuna accusa a suo carico: naturalmente era disarmato, come gli altri suoi due, più sfortunati, amici.
Appare incredibile come, in pieno giorno, un esercito ben addestrato e, si suppone, dotato di binocoli e di altri dispositivi di avvistamento possa scambiare dei ragazzini per dei “terroristi” e un aquilone per un ordigno esplosivo.
Appare incredibile che - ogni volta che un Palestinese muore nei pressi della barriera di “sicurezza” o in prossimità degli insediamenti smantellati - ciò accada perché stava cercando di piazzare una bomba sotto le recinzioni.
Una bomba sotto la barriera, e perché? Per immigrare clandestinamente in Israele senza farsi notare? Per distruggere una porzione di muro o di reticolato? Per aprire la strada alle agguerritissime truppe palestinesi e permettere loro di invadere Israele?
Il vero è che le aree di territorio (palestinese) immediatamente adiacenti al muro di “sicurezza” – dichiarate unilateralmente da Israele “no-go zones” per i Palestinesi – si sono in realtà trasformate in vere e proprie “zone della morte”, in cui entrare equivale ad andare incontro ad una morte pressoché certa (per alcuni casi precedenti vedi qui e qui).
Ed in verità, se ai Palestinesi bastasse evitare le zone con vista sul muro per evitare danni, andrebbe ancora bene; il problema, purtroppo, è che in Palestina non si è sicuri della propria incolumità nemmeno restando chiusi in casa.
Così ieri mattina - verso le prime luci dell’alba – alcuni soldati israeliani, nel corso di un’operazione di arresto, hanno fatto irruzione in una casa di Hebron sparando all’impazzata, uccidendo il 67enne Yehia al-Jabari e ferendo altri sette componenti della sua famiglia, compresa la moglie 65enne che versa in gravi condizioni in ospedale per una ferita alla testa.
Naturalmente, anche qui, le versioni delle due parti divergono lievemente, con i Palestinesi che sostengono che i soldati israeliani hanno aperto il fuoco senza motivo, mentre fonti di Tsahal affermano, invece, che i soldati hanno aperto il fuoco solo dopo essere stati attaccati dai padroni di casa con lanci di oggetti (persino di una bombola di gas) e a seguito del tentativo di un familiare di al-Jabari di strappare il fucile ad un israeliano.
E già, sembra di vederla la scena, un anziano 67enne che si scaglia contro i soldati israeliani brandendo sopra il capo una bombola di gas, mentre la moglie, più giovane ed arzilla, cerca di strappare il fucile dalle mani del soldato che glielo punta contro.
Voi ci credereste? Io non penso proprio (naturalmente la domanda non è rivolta né agli amici di Israele né alla cricca di informazione corretta e similari).
L’alibi menzognero di Israele a giustificazione della recente ondata di omicidi - purtroppo preso per buono dalla comunità internazionale – è rappresentato, come è noto, dal lancio di razzi Qassam dalla Striscia di Gaza contro la cittadina di Sderot.
A partire dal 16 maggio e fino al 1° giugno di quest’anno, secondo i dati dell’Office for the Coordination of Humanitarian Affairs (OCHA), 321 Qassam sono stati sparati contro Sderot e le aree circostanti, causando due vittime civili e 18 feriti; di contro, nello stesso periodo, 68 incursioni aeree della Iaf e vari raid terrestri dell’esercito israeliano sono costati ai Palestinesi ben 53 vittime, inclusi 7 bambini, e oltre 185 feriti (tra cui 10 bambini).
Questo basterebbe a dar conto della “moderazione” mostrata da Israele e della sproporzione e della disumanità della sua “risposta”.
Ma questi ultimi delitti di cui si è macchiato Tsahal, e di cui abbiamo parlato sopra, possono giustificarsi come “reazione” al lancio dei Qassam? E cosa c’entrano due vecchietti di Hebron con i razzi che partono dalla Striscia di Gaza?
Ma è il concetto stesso di “risposta” da parte dell’esercito israeliano che rappresenta una totale falsità, una menzogna propagandistica che riesce a passare solo grazie all’appoggio pressoché incondizionato dei media e dei politici di casa nostra, e per dimostrarlo basta andare a guardare le statistiche dei morti e dei feriti delle due parti nei primi quattro mesi dell’anno, quando cioè Israele non aveva ancora la necessità di “rispondere” ad alcunché.
Ebbene, nel periodo gennaio – aprile 2007, l’esercito israeliano aveva già assassinato ben 52 Palestinesi, di cui 35 nel West Bank (5 bambini) e 17 nella Striscia di Gaza (4 bambini), mentre i Palestinesi feriti ammontavano a 628, di cui 590 nel West Bank (87 bambini) e 38 nella Striscia di Gaza (10 bambini).
Nello stesso periodo, gli Israeliani uccisi sono stati 4 (tutti soldati dell’esercito di occupazione) e i feriti sono stati 84, di cui 42 civili, quasi esclusivamente coloni (vedi OCHA-oPT Protection of civilians – Report to the end of April 2007).
Come ben si vede, dunque, prima che iniziasse il massiccio lancio di razzi Qassam contro Sderot non vi era certo una tregua in corso; al contrario, Israele non aveva mai cessato la sua lenta ma indefessa opera di massacro di una popolazione innocente e pressoché inerme.
Come ben si vede, piuttosto, sono stati i Palestinesi con i loro Qassam a rispondere, in maniera certo contraria al diritto umanitario ma disperata e comprensibile, allo strapotere militare, alle devastazioni e ai crimini impunemente perpetrati dall’esercito israeliano.
Si aggiunga, peraltro, che le statistiche mostrano come l’azione di Tsahal, nel periodo considerato ma anche successivamente, si sia concentrata soprattutto sul West Bank, da cui non risulta che sia stato mai lanciato un bel niente verso il territorio israeliano, neanche qualche pietra.
Come possa Magdi Allam - e purtroppo tanti al pari di lui in Italia e in Europa – definire Israele come un “faro di civiltà” nel Medio Oriente resta dunque un mistero, considerato che l’unica cosa che Israele riesce ad esportare nella regione è la cieca e brutale forza delle armi, l’oppressione, la devastazione, il furto delle risorse naturali, la morte.
Israele, piuttosto, assomiglia con molta maggiore verosimiglianza al portatore di una grave malattia infettiva, che già devasta e uccide il popolo palestinese e rischia di contagiare l’intera regione, mentre la comunità internazionale dei medici, accorsa al capezzale del paziente palestinese, si limita a nutrirlo e a mantenerlo in vita, rifiutandosi però di adottare le necessarie cure per combattere la malattia e isolarne il portatore, ed anzi rimproverando aspramente il paziente se solo osa cercare di curarsi da sé, al di fuori delle misure previste dai protocolli medici e con mezzi artigianali che risultano essere troppo “aggressivi” per il portatore stesso.
Capisco bene come oggi sia vantaggioso schierarsi al fianco di Israele, vuoi per motivi di immagine e di visibilità, vuoi per motivi di opportunità politica, vuoi magari per motivi più terra terra, legati alla vile pecunia.
Capisco, dunque, ma davvero ne resto stupito ed amareggiato perché, mai come oggi, gridare “viva Israele!” equivale a gridare “viva gli assassini!”.

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2 Commenti:

Alle 8 giugno 2007 alle ore 17:59 , Blogger arial ha detto...

Avraham Burg: Defining Israel as a Jewish state is the key to its end

http://www.haaretz.com/hasen/spages/867986.html

l'articolo tratto dalla Stampa
Intervista choc all’ex presidente “Israele addio
Sei militarista e senz’anima”

 
Alle 9 giugno 2007 alle ore 12:27 , Anonymous Anonimo ha detto...

dovrò cercare questo interessante articolo sulla Stampa, il mio inglese è uno schifo...
purtroppo non c'è fine alla disperazione del popolo palestinese, ora anche in Libano sembra che vogliano farci ricordare Sambra e Chatila, è una vergogna...
l'esercito libanese che non ha mosso un dito contro l'invasione e l'attacco dei militari israeliani ed ora sta infuocando ed uccidendo i palestinesi profughi di Nahr al-Bared...
tempi brutti questi....
un saluto
orso

 

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