23 marzo 2007

Stop al boicottaggio contro il Governo palestinese.

Abbiamo già sottolineato l’importante presenza, all’interno del mondo ebraico della diaspora, di voci dissonanti rispetto alle posizioni ufficiali dei rappresentanti delle comunità ebraiche, provenienti da gruppi organizzati che si rendono ben conto di come la pace nel vicino oriente possa essere raggiunta solo attraverso un equo accordo tra le parti in conflitto e la piena affermazione della legalità internazionale.
Così, dopo l’appello a fermare il boicottaggio contro il governo palestinese lanciato già nel gennaio di quest’anno dal Comitato esecutivo di European Jews for a Just Peace (vedi "Fuori dal coro"), il Manifesto, lo scorso 20 marzo, ha ospitato un altro importante intervento degli “Ebrei per la pace”, in cui sostanzialmente si rivolge un invito ai Paesi Ue – alla luce del recente accordo raggiunto alla Mecca per un governo palestinese di unità nazionale – a smarcarsi dall’attuale appiattimento della politica europea riguardo alla questione palestinese sulle posizioni Usa, a porre termine al boicottaggio politico ed economico nei confronti dell’Anp e ad aprire un dialogo con il premier Haniyeh, volto a favorire la ripresa dei colloqui di pace con Israele.
Ma l’aspetto fondamentale della questione che gli Ebrei per la pace mettono in evidenza è un altro, una constatazione semplice eppure incredibilmente sottaciuta dai mezzi di informazione e misteriosamente ignorata dai governi europei.
E cioè che le tre condizioni che Israele, gli Usa e la Ue vorrebbero rispettate da Hamas per porre termine al blocco degli aiuti e all’isolamento politico (il riconoscimento dello Stato di Israele, la fine della violenza e il riconoscimento degli accordi precedenti siglati dall’Olp) sono misure assolutamente unilaterali, non prevedendo reciprocità nei confronti di Israele, e non aiutano in nulla il raggiungimento di un accordo di pace.
Non solo, infatti, come è evidente, il boicottaggio nei confronti del governo palestinese è assurdo e ingiusto, costituendo l’unico caso al mondo di sanzione che colpisce un popolo oppresso, invaso, massacrato, ma il solo risultato che sino ad oggi ha ottenuto è stato quello di rendere ancora più miserevoli le condizioni di vita della popolazione civile.
Ma, soprattutto, le condizioni richieste dalla comunità internazionale per riprendere i normali rapporti politici ed economici con i Palestinesi rappresentano l’ennesimo esempio del duplice standard da sempre applicato nella regione.
Si chiede, infatti, ai Palestinesi di cessare ogni violenza, ma si tollera tranquillamente che l’esercito israeliano effettui i suoi raid, le sue esecuzioni, i suoi assassinii, compiendo quotidianamente nei Territori occupati ogni sorta di crimine di guerra.
Si chiede ad Hamas di ufficializzare il rispetto di ogni accordo firmato in passato, ma si consente che Israele abbia violato e continui a violare ogni sorta di accordo, convenzione o risoluzione internazionali, compresi quelli più recenti e tanto strombazzati, come l’accordo per l’accesso e il movimento da e per Gaza (AMA).
Si chiede ad Hamas di riconoscere Israele, ma si passa sopra al fatto che Israele abbia modificato unilateralmente i confini internazionalmente riconosciuti con la costruzione del muro di “sicurezza”, che i suoi governanti riaffermino a ogni pié sospinto che Gerusalemme è e rimarrà sempre sotto sovranità israeliana, che si rifiuti persino di discutere della questione dei profughi palestinesi, i cui diritti peraltro sarebbero tutelati dalla risoluzione Onu n.194 del 1948.
L’appello degli Ebrei per la pace cade in un momento particolarmente delicato.
Da una parte, infatti, Israele vorrebbe veder riaffermato l’isolamento politico ed economico di Hamas, ed anzi ha iniziato ad attuare un curioso boicottaggio “di secondo livello”, vietando ogni incontro ufficiale ad ogni politico o diplomatico che, nel corso dello stesso viaggio, abbia incontrato anche esponenti governativi di Hamas: così è accaduto, ad esempio, per il Vice Ministro norvegese Raymond Johansen, primo membro di un governo europeo a incontrare il premier palestinese Haniyeh.
Dall’altra, tuttavia, il fronte oltranzista del boicottaggio comincia a mostrare qualche crepa laddove, all’interno della Ue, Francia, Spagna e Svezia chiedono una riapertura di un canale diretto con l’Autorità palestinese, mentre persino il console Usa Jacob Walles ha recentemente incontrato il neo Ministro delle Finanze palestinese Salam Fayyad.
E’ dunque importante dare spazio, anche qui in Italia, a quanti spingono giustamente per porre fine al boicottaggio che colpisce l’intero popolo palestinese e ad usare ogni strumento possibile per far riprendere i colloqui di pace tra Israeliani e Palestinesi.
L’appello degli Ebrei per la pace, soprattutto, dovrebbe essere distribuito in copia ai tanti parlamentari della sinistra italiana che (a parole) si professano pacifisti e che trovano il tempo di intervenire su tutto, dall’Afghanistan alle Frecce Tricolori, ma inspiegabilmente non trovano un attimo di tempo per chiedere conto al governo Prodi del duplice standard applicato nei rapporti tra Anp e Israele, laddove la prima subisce l’isolamento politico e il blocco degli aiuti, mentre il secondo gode di rapporti privilegiati di scambio e di collaborazione in campo economico e militare.
Sarei davvero curioso di poter avere una risposta.

EBREI PER LA PACE: “TRATTARE CON HAMAS” (Il Manifesto, 20.3.2007)
Facendo nostre alcune delle considerazioni e raccomandazioni contenute nell'articolo di Henry Siegman - direttore del U.S./Middle East Project e docente della School of Oriental and African Studies dell'Università di Londra - apparso il 19/2/07 sull' International Herald Tribune e nell'editoriale di Haaretz del 5/2/07, nonché in un articolo di Uri Avnery del 17/2/07, ci rivolgiamo all'Unione europea e alle dirigenze dei vari Paesi che ne fanno parte, perché diano un proprio indipendente contributo all'inizio di serie trattative di pace tra Israele e l'Anp.
All'Unione europea, ai leader dei paesi europei.
Come individui e gruppi di ebrei impegnati per la pace tra israeliani e palestinesi riteniamo che, dopo la vittoria di Hamas alle elezioni dello scorso anno, il governo israeliano ha continuato a delegittimare ogni possibile interlocutore palestinese. Già l'Autorità palestinese era stata ignorata da Sharon nel ritiro da Gaza. Olmert ha boicottato e ottenuto il boicottaggio internazionale del governo Hamas uscito vincitore dalle elezioni e ha nel contempo delegittimato Abu Mazen. Oggi continua a farlo anche di fronte a un nuovo e importante sviluppo: il recente accordo per un governo palestinese di unità nazionale, cui si è pervenuti alla Mecca su iniziativa di re Abdullah, sembra aver raggiunto tre obiettivi:
1) fermare la guerra civile fra i palestinesi che, se fosse andata avanti, avrebbe portato a un bagno di sangue con esiti catastrofici e reso impossibile ancora per molti anni parlare di pace nell'area;
2) sganciare Hamas dall'influenza dell'Iran verso cui l'organizzazione si era rivolta in mancanza di alternative;
3) rompere il tabù dell'impossibilità di appoggiare un governo palestinese che includa Hamas, e indicare nel nuovo governo di unità nazionale un interlocutore possibile e legittimo.
Sembra perciò che ci siano adesso i presupposti perché con il sostegno dell'Arabia saudita - da cui gli Stati uniti dipendono non solo per il petrolio ma anche per la gestione dello scontro con l'Iran e per la situazione irachena -, l'Europa possa sganciarsi dalla subordinazione verso l'alleato americano nella questione del conflitto israelo-palestinese.
L'Unione europea dovrebbe quindi annunciare immediatamente la fine del boicottaggio e aprire un dialogo con il governo di unità nazionale per la ripresa delle trattative con Israele, nella consapevolezza che non si può perdere anche questa occasione di pace.
Sarebbe una ripetizione del tragico errore già commesso nel 2002, quando l'Arabia saudita propose la fine completa delle ostilità tra il mondo arabo e Israele e il riconoscimento dello Stato ebraico, da parte araba, a fronte del ritiro dai territori occupati.
Sono state poste finora tre condizioni per la fine del boicottaggio:
a) il riconoscimento da parte di Hamas dell'esistenza dello Stato d'Israele;
b) la fine del terrorismo;
c) il pieno riconoscimento degli accordi siglati dall'Olp.
Però questi tre punti sono assolutamente unilaterali poiché la radicalizzazione della società palestinese rappresentata dal voto ad Hamas ha tra le sue ragioni intrinseche la prosecuzione dell'occupazione israeliana dei territori palestinesi dal 1967, con tutto il dolore che porta con sé, e le afflizioni che i palestinesi sopportano.
Ora, l'Unione europea e i suoi leader hanno la facoltà di cambiare le condizioni preliminari per la fine del boicottaggio internazionale del nuovo governo palestinese di unità nazionale, mettendo così l'Autorità nazionale palestinese in grado di riprendere i negoziati. Dovrebbero cioè chiedere ad Hamas, come condizione preliminare per la fine del boicottaggio, di dichiarare la sua volontà di riconoscere Israele quando Israele dichiarerà il proprio riconoscimento dei diritti palestinesi all'interno dei confini precedenti il 1967, escludendo cambiamenti nei confini senza l'accordo palestinese, come stabiliscono le risoluzioni Onu: questa condizione, infatti, racchiude in sé anche la possibilità delle altre due. In mancanza di quest'atto dovuto, tutto il resto sembra solo un alibi per sostenere l'ingiusto status quo.
Vorremmo ricordare ai leader dei paesi europei che la base forte di una simile presa di posizione sta nelle stesse decisioni assunte dall'Unione europea nel marzo 2004, quando i presidenti dei paesi dell'Ue dichiararono all'unanimità l'intenzione di non ammettere nessuna deviazione dai confini del 1967 che non fosse il risultato di un accordo fra le due parti.
È il momento di agire in coerenza con questa decisione.
Barbara Agostini, Irene Albert, Paolo Amati, Dunia Astrologo, Marina Astrologo, Annalisa Bemporad, Andrea Billau, Lina Cabib, Giorgio Canarutto, Paola Canarutto, Ilan Cohen, Giuseppe Damascelli, Lucio Damascelli, Marina Del Monte, Ester Fano, Carla Forti, Giorgio Forti, Joan Haim, Jules Karpi, Dino Levi, Tamara Levi, Michele Luzzati, Patrizia Mancini, Miriam Marino, Marina Morpurgo, Ernesto Muggia, Carla Ortona, Sergio Ottolenghi, Valeria Ottolenghi, Moni Ovadia, Paola Sacerdoti, Renata Sarfati, Stefano Sarfati, Giorgio Segrè, Danco Singer, Sergio Sinigaglia, Stefania Sinigaglia, Susanna Sinigaglia, Jardena Tedeschi, Ornella Terracini, Marco Todeschini, Claudio Treves, Virginia Volterra.

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2 Commenti:

Alle 23 marzo 2007 alle ore 17:22 , Anonymous Anonimo ha detto...

di tutto rispetto l'appello degli ebrei contro le pratiche sioniste...queste persone però dovrebbero lavorare molto in israele, tra la loro gente, qualcuno ci prova ma viene taciuto ed oscurato in fretta se non gli capita altro di ben più grave...
in cuor mio, se devo essere sincero, non ho la minima fiducia, penso che israele non abbia minimamente l'ipotesi di arrivare ad una pace con i palestinesi...mi sembra che il copione sia bello che scritto...
l'unica briciola di fiducia rimasta, la lascio nelle mani di quelli che vogliono resistere...
a presto
orso

 
Alle 24 marzo 2007 alle ore 02:01 , Blogger vichi ha detto...

Sono in parte d'accordo con te, Israele vuole la pace con i Palestinesi, ma alle sue condizioni...
Per questo è importante la pressione che la comunità internazionale deve (o meglio, dovrebbe) esercitare su Israele per spingerlo a conformarsi alla legalità internazionale e a raggiungere un accordo di pace basato su condizioni eque, e i mezzi politici ed economici esistono, eccome.
Ed è per questo che la voce "fuori dal coro" di alcuni ebrei della diaspora riveste una notevolissima importanza, il problema è che sono un po' pochini...
Un caro saluto,
Vichi

 

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