11 ottobre 2006

Il grande assente.

Ieri era la quarta Giornata Mondiale Contro la Pena di Morte e Amnesty International, nel ricordarci che ancora oggi vi sono ben 68 Paesi che prevedono la pena di morte nei loro ordinamenti, ha messo sul banco degli imputati, in particolare, la Cina, l’Arabia Saudita, la Nigeria, gli Usa e l’Iran.
La pena di morte è inaccettabile in quanto viola quello che è il più basilare tra i diritti umani, il diritto alla vita, ed è dunque normale che oggi sempre più persone sognino un mondo senza esecuzioni e chiedano a gran voce l’abolizione della pena di morte.
E tuttavia, ancora una volta, la lotta e gli appelli di alcune organizzazioni umanitarie mancano clamorosamente di denunciare quanto avviene nei Territori palestinesi occupati, dove l’esercito israeliano de facto continua ad applicare la pena di morte nei confronti dei militanti palestinesi, attraverso le sue cruente e spietate esecuzioni “mirate”.
Sebbene, infatti, le forze di occupazione israeliane abbiano abolito la pena di morte sin dal 1971, nella realtà Tsahal ha sempre continuato a portare a termine le sue esecuzioni extra-giudiziarie, con la piena approvazione della banda di assassini che siede al governo di Israele e la pressoché totale acquiescenza della comunità internazionale, fatto salvo l'ormai ex-Segretario dell’Onu Kofi Annan il quale – forse per lavarsi la coscienza – in più di una occasione aveva ribadito che le esecuzioni “mirate” equivalgono a delle “executions without a trial”, a delle condanne a morte eseguite senza alcuna incriminazione, alcuna prova, alcun giudice, alcuna giuria.
Con il solito pretesto della sicurezza di Israele, buono per coprire ogni nefandezza ed ogni crimine.
Eppure i numeri non sono di poco conto: dal settembre 2000 al luglio 2006, Israele ha eseguito 252 assassinii extra-giudiziari, in cui sono rimasti uccisi ben 603 Palestinesi e alcune migliaia sono rimasti feriti.
Si, perché il risvolto ancor più tragico di questi crimini consiste nel fatto che a morire – nel corso delle esecuzioni “mirate” – non sono solo i bersagli predestinati ma anche, in numero ancora maggiore, quei poveri Palestinesi innocenti che il caso aveva fatto transitare nei pressi.
Ne potremmo citare decine e decine di questi casi, ma quello che mi viene immediatamente in mente è il caso della strage di una intera famiglia avvenuta a Gaza City il 20 maggio di quest’anno, nel corso di una esecuzione “mirata” della IAF.
Per colpire la vittima designata dell’assassinio extra-giudiziario, il militante palestinese Mohammed Dahdouh (sospettato, sia detto per inciso, di aver lanciato alcuni razzi Qassam), l’aviazione israeliana allora non si era fatta scrupolo di lanciare una salva di missili in una strada affollata di Gaza, uccidendo un bambino di sette anni, Muhind Aman, sua madre Naima, 27 anni, e sua nonna Hanan, 46 anni, ferendo altri tre componenti della famiglia e rendendo paralizzata a vita la sorellina Mariyah, di soli due anni.
Il portavoce dell’esercito più etico del mondo, la banda assassini Tsahal, aveva annunciato un’inchiesta sull’accaduto, conclusasi naturalmente, come tutte le altre, con un nulla di fatto.
Ma anche i numeri che abbiamo citato, già impressionanti di per sé, rischiano di non dare un quadro davvero esatto della situazione.
Va infatti considerato che, talvolta, le esecuzioni “mirate” (mirate nel senso di mirare nel mucchio…) mancano completamente il loro bersaglio e uccidono della povera gente ignara ed innocente, che dormiva tranquillamente nella propria casa.
E’ il tragico destino toccato ai coniugi Awad e Nabil Abu Salmeya, uccisi lo scorso 12 luglio insieme a sette dei loro figli, ad opera di una bomba da 250 kg. che, nelle intenzioni di Israele, doveva uccidere il capo di Hamas Mohammed Deif, e che invece li ha sorpresi mentre dormivano, nel loro letto, nella loro casa.
Le esecuzioni extra-giudiziarie sono vietate dal diritto internazionale e, in particolare, dagli articoli 3 e 33 della Convenzione di Ginevra del 1949, che proibiscono di compiere delle esecuzioni capitali che non siano precedute da una sentenza pronunciata da una corte regolarmente costituita e con le idonee garanzie previste per il giudizio.
Ieri era la quarta Giornata Mondiale Contro la Pena di Morte, e speravo che, finalmente, la comunità internazionale si sarebbe ricordata di far rispettare le previsioni della Convenzione di Ginevra, di proteggere la popolazione civile palestinese dalla furia bestiale di Tsahal, di assicurare alla giustizia i responsabili materiali e i mandanti politici del massacro in atto a Gaza e nel West Bank.
Ieri era la quarta Giornata Mondiale Contro la Pena di Morte, e mi sarebbe piaciuto che Amnesty o Human Rights Watch avessero speso qualche parola contro i quotidiani crimini contro l’umanità commessi da Israele.
Ma oggi è un altro giorno, e il sogno è svanito.

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